Kipling aveva nostalgia di un modo di viaggiare che stava per scomparire ma allo stesso tempo sentiva attrazione per le conquiste tecnologiche. Lui che è considerato conservatore, da una parte è arcaico ma, allo stesso tempo, è modernista. Nei suoi libri, da un lato rimpiange il passato scomparso per sempre e si proietta contemporaneamente nel futuro e nella modernità, che lo affascina.
Nell’autunno del 1887 il direttore del Pioneer di Allahabad lo ha avviato a nuove esperienze. Gli ha affidato un giro nel Rajputana (oggi Rajastan), da raccontare a puntate sul giornale. Lui ha deciso di cominciare da Agra, un po’ più a ovest, e dal Taj Mahal. “Mentre il treno procedeva le masse nebbiose si spostavano e il Taj assumeva una forma nuova, perfetta e indescrivibile, a ogni momento…” Vi ha sentito il dolore degli schiavi, trattati come bestie, che vi avevano lasciato la vita, insieme a quello dell’uomo disperato che lo aveva fatto innalzare per la donna amata, che aveva perso.
Un altro incarico lo ha portato a Calcutta, The City of Dreadful Night, (La Città della terribile notte), la cui grande opulenza conviveva con una orribile puzza e dove l’inefficienza della burocrazia raggiungeva dei livelli grotteschi. Lo scrittore ha visitato i locali del porto, le rive del fiume Hugli, nel Bengala, a Jamalpur, nel Bihar, e le miniere di carbone del Giridih… Solo i templi indù, con i loro grandi linga circondati da offerte di fiori e di riso, gli ispiravano una violenta repulsione. Li considerava dei “turpi emblemi della creazione”.
Anche quando ha lasciato l’India e ha cominciato a girare il mondo ha continuato a inviare articoli di viaggio a giornali indiani. Nel 1889, ne aveva inviati parecchi al Pioneer di Allahabad nel corso del suo primo soggiorno in America. Aveva cominciato il viaggio a San Francisco e da lì si era spinto verso nord in ferrovia. Si era poi diretto a Vancouver, aveva raggiunto il parco di Yellowstone, il Gran Lago Salato, le Montagne Rocciose, Omaha, Chicago e Buffalo. A Elmira ha incontrato e intervistato Mark Twain. Lo sguardo dello scrittore nei confronti dell’America era ambivalente. Da un lato era deluso dal fatto che gli americani, uomini di frontiera, non sembravano aspirare a qualcosa di più della conquista del benessere materiale. Dall’altro però si rendeva conto che quello era il paese del futuro.