Rudyard era il secondo nome di Kipling – il primo era Joseph – e l’appellativo era stato suggerito da una zia, per commemorare il fidanzamento dei genitori, avvenuto sulle sponde del lago omonimo, che si trova nello Staffordshire. Lo scrittore, nato a Bombay nel 1865, trascorse l’infanzia in India.
A cinque anni, come la maggior parte dei figli di inglesi residenti in India, venne mandato a studiare in Inghilterra, affidato a genitori adottivi. Nella loro casa di Southsea, che egli soprannominò la “Casa della Desolazione”, passò anni molto infelici. Il suo mondo era completamente cambiato ed egli non riusciva ad adattarsi alla nuova vita. Frequentò poi lo United Services College, nel Devon, una scuola destinata a chi intendeva prestare servizio nelle colonie. A diciassette anni, rifiutando di andare all’università, tornò in India, dove iniziò una carriera giornalistica presso il The Civil and Military Gazette. In questo giornale egli si occupava di quasi tutto, dalla rilettura delle bozze alla stesura di articoli e recensioni, alla rubrica di informazioni su ricevimenti, feste danzanti e partite di polo per gli anglo-indiani. Un suo collega ha raccontato che, a causa dei suoi movimenti bruschi, a fine giornata la sua camicia e i pantaloni bianchi erano completamente macchiati d’inchiostro, tanto da farlo assomigliare a un cane dalmata. E’ di questi anni la pubblicazione dei suoi primi volumi di poesie e di racconti, fra i quali Plain Tales from the Hills, del 1888, che raccoglie storie dei funzionari inglesi in servizio in India, delle loro difficoltà e del senso di spaesamento.
Il successo fu immediato e fulmineo, non solo in India, ma anche in Inghilterra. Seguì, nel 1891, The Light that failed, in cui la sua grande capacità di raccontare e di reinventare la vita, dando i colori della realtà e della verità a elementi del ricordo e della fantasia è messa al servizio di un racconto ambientato a Suez e Port Said nove anni prima. Nel 1882 egli stava tornando in India, dopo aver terminato l’ultimo trimestre di scuola. Quell’anno, Gladstone aveva deciso di intervenire militarmente in Egitto con operazioni di terra e di mare e con il bombardamento dei porti. Kipling si trovò in mezzo a una battaglia, la cui posta in gioco era il Canale di Suez. Nel libro ritroviamo molti dei temi e delle descrizioni che caratterizzeranno altri suoi libri successivi: le navi e i traffici via mare, i soldati, il caldo, gli odori, l’atmosfera corrotta… Ripartì dall’India per andare prima in Giappone, poi in America, dove conobbe Caroline Balestier, che sposò a Londra nel 1892. Con lei si stabilì nel Vermont, dove progettò e fece costruire una casa a forma di nave, alla quale diede il nome di Naulakha, con lo studio collocato al posto della cabina di guida e la cucina al posto della sala macchine. In questa casa, nel 1894, egli scrisse Capitani coraggiosi e i due volumi de Il libro della giungla, nei quali l’autore descrive microcosmi che rappresentano il macrocosmo della vita.
Rimase quattro anni negli Stati Uniti, non riuscendo mai ad adattarsi fino in fondo a questo paese, verso il quale nutriva un rapporto di amore e odio. Nel 1897 si trasferì in Inghilterra, prima vicino a Torquay, poi nella campagna del Sussex orientale, vicino a Rottingdean, in una casa chiamata Bateman’s, che aveva sei camini allineati e veniva usata come punto di riferimento dai piloti degli aerei di linea diretti a Parigi. Kipling non divenne mai un gentiluomo di campagna. Continuò a viaggiare sentendo, in fondo, di non appartenere a nessuna patria, come suggerisce questa sua battuta: “L’Inghilterra? Un posto meraviglioso, il più bel paese straniero nel quale io sia mai stato.” Parlò sempre dei suoi due mondi, i “due lati della testa” corrispondenti alle due parti della sua vita. Essi gli erano più cari, diceva, “degli amici, del tabacco e dello stesso pane”. Elesse il Sud Africa a suo paese di adozione. Ne amava il clima e la luce, che gli ricordavano quelli dell’India. Durante il conflitto anglo boero, vi lavorò come corrispondente di guerra. La sua morte, avvenuta nel 1936, due giorni prima di quella di re Giorgio V, ha simboleggiato una fine. Per alcuni, fra i quali lo scrittore Woodehouse, essa ha significato la fine di un’era letteraria. Per altri, fra i quali il generale Hamilton, essa ha segnato, nella storia dell’Inghilterra e dell’Europa, la fine di un’epoca: quella dell’espansione coloniale.
Nella sua autobiografia Something of Myself Kipling parla molto dell’India. Il ricordo delle passeggiate mattutine al mercato della frutta di Bombay in compagnia della bambinaia, quelle pomeridiane in riva al mare all’ombra delle palme, le noci che cadevano loro addosso quando si alzava il vento, le luci, i colori, i frutti d’oro e di porpora che pendevano appena sopra le loro teste... Il paesaggio vibrante della sua India di bambino, la calura che sfibrava, i cieli immensi, il buio minaccioso della notte, la voce del vento, i sambuchi che filavano sulle acque perlacee del mare diretti a porti lontani, i parsi dalle vesti vivaci che scendevano in acqua ad adorare il tramonto. .. Senza i suoi primi, felici, anni in India, senza i suoni, i colori, i paesaggi esotici, la brulicante vita intorno a lui, i suoi libri non sarebbero stati gli stessi. L’India, con il suo fascino e la sua abiezione, con la presenza costante della morte accanto alla vita abitava profondamente dentro di lui, come emerge da Plain Tails from the Hills (Racconti semplici delle colline).
Il discorso tenuto da Kipling alla Royal Geographical Society nel 1914 sulla varietà e sulla qualità degli odori e sulla loro capacità di provocare nel viaggiatore una grande nostalgia è stato raccolto nel volumetto dai titolo Some Aspects of Travel (I profumi dei viaggi).
Il profumo selvaggio e struggente della legna bruciata è uno dei più evocativi, scrive. “Un solo sbuffo ci riporta a marce ormai dimenticate su anonime montagne in compagnia di gente di dubbia reputazione; a soste di un giorno intero sotto la pioggia sulle rive di fiumi in piena; a mattine meravigliose quando eravamo giovani in paesaggi dalla luce brillante dove tutto era possibile – e tutto accadeva; a risvegli inquieti sotto la bassa luna del deserto, distesi su ciottoli duri e tormentosi; e più di tutto, a quell’ora divina in cui le stelle sono tramontate ed è troppo buio per vedere e si giace con le narici impregnate dal fumo delle braci, in attesa che un nuovo orizzonte si stagli nella luce della nuova alba.”